lunedì 12 aprile 2010

Fabrizio De Andrè - Tutti Morimmo a Stento

Fabrizio De Andrè - Tutti Morimmo a Stento
Cantautore
(1968)



Quando si parla di pietra miliare si può tranquillamente prendere in considerazione un album come questo, un punto di riferimento non solo per la musica ma per tutta l’arte. Un’opera eterna che salverei dall’Inquisizione del Culturame (già operativa da decenni) a qualsiasi costo. Perché dico questo? Perché purtroppo mi è capitato molte volte di sentire critiche nei confronti di De Andrè, critiche per altro davvero argomentate. “È lento, è noioso! È triste! È roba vecchia!”. Non spenderei più una parola per controbattere, ho la nausea di discuterne, ma un paio di cose le devo sempre dire. Una cosa lenta non è necessariamente brutta, né noiosa, una cosa triste non è necessariamente brutta, una cosa vecchia non è necessariamente brutta. È così difficile? Certe “argomentazioni” valgono meno di zero. Punto secondo: l’arte non è solo soggettiva. Che si tratti di musica, cinema, pittura, scultura, letteratura, poesia o quello che volete. Esistono criteri oggettivi per valutare un disco, un quadro o un film. La scorciatoia dell’ “ehhhh ma i gusti sono gusti!” la lascio a chi non ha le capacità di affinare l’orecchio (in questo caso) e spesso… a chi non ha gusto. Ebbene sì, perché la maggior parte delle volte chi taglia corto con queste massime non ha proprio alcun gusto. Culturame appunto. Cultura approssimativa, per chi si ciba di scarti e pappa già masticata, vomitata sul mercato.
Ma passiamo all’album in questione. “Tutti morimmo a stento”. Il titolo è in grado di sprigionare una potenza evocativa ed una malinconia incredibili. È un esempio lampante della forza della parola, di come sia in grado di stimolare un vortice di emozioni e di immagini.
Chi sono i protagonisti delle canzoni di De Andrè? Sono i drogati, i condannati a morte, gli alcolizzati, i morti di fame, le puttane, i matti, gli ignoranti, gli anarchici, gli zingari, insomma, tutte quelle persone che la società imborghesita benpensante solitamente etichetta come perdenti, falliti, maniaci, psicopatici, parassiti. Faber è in grado di descrivere i suoi personaggi slegandoli completamente dalle convinzioni comuni, guardando tutto in prospettiva, o meglio, senza alcuna prospettiva. Al di là del giusto e dello sbagliato, al di là di inutili moralismi. Utilizzerei gli ultimi versi di una sua canzone, “La città vecchia”, per descriverli: “Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo”. Non esistono santi, non esistono demoni. Ognuno commette i propri errori, ognuno ha il diritto di redimersi. Il mondo è quello dominato dalla logica del profitto, da spietato arrivismo e free-climbing sociale, da “Banchieri, pizzicagnoli, notai, coi ventri obesi e le mani sudate, coi cuori a forma di salvadanai“ (“Recitativo”). Erigere come tiro a segno per le nostre frustrazioni un nemico più debole, più emarginato. E baciare le mani inanellate di potenti aguzzini, sperando di trarne un qualche becero vantaggio, perfettamente inseriti in questo rivoltante mosaico delle disgrazie umane. Ognuno fa la sua parte. Sieg Heil, indottrinamento, sottomissione, adeguamento, lobotomia catodica, potere per il potere, lavoro per il lavoro.
“Tutti morimmo a stento” è un album abbastanza a se stante rispetto alla restante produzione del cantautore genovese. Non c'è molta ironia, che fa capolino solo in alcuni momenti. Predominano sentimenti malinconici che spesso sfociano in passaggi tristi, quasi disperati, a volte rabbiosi ed angoscianti. La tinta è grigia, cupa. Si inizia con la disperazione allucinata di un tossicodipendente emarginato e terrorizzato, passando per il trauma di una ragazzina violentata e gli ultimi momenti di un condannato a morte, amori perduti e guerre inevitabili. Nel finale traspare qualcosa di diverso, un cerchio che si chiude: prima un monito per i potenti, poi un re che vuole redimersi ma fallisce. La miseria umana non trova mai scampo.
Difficile per molti assimilarlo, proprio a causa della dominante malinconia che trasuda. Non per questo da sottovalutare o da ascoltare superficialmente, per quanto mi riguarda ho sempre preferito la tragedia al lieto fine.
Ed avevamo gli occhi troppo belli: che la pietà non vi rimanga in tasca.

Tracklist:
1.Cantico dei drogati
2.Primo intermezzo
3.Leggenda di Natale
4.Secondo intermezzo
5.Ballata degli impiccati
6.Inverno
7.Girotondo
8.Terzo intermezzo
9.Recitativo
10.Corale