mercoledì 1 dicembre 2010

Le ultime parole di Mishima

Furubayashi Takashi, Kobayashi Hideo:
Le ultime parole di Mishima
a cura di Emanuele Ciccarella

Intervista
(2001)



Pochi giorni fa, il 25 Novembre, era il quarantesimo anniversario della morte di Yukio Mishima. Il 25 Novembre 1970 il celebre scrittore giapponese si tolse la vita con il tradizionale rito samurai del seppuku. Si squarciò il ventre e venne poi decapitato da un seguace, membro del Tatenokai. Ancora oggi Mishima, drammaturgo e scrittore, esteta culturista e difensore delle tradizioni imperiali, è un personaggio molto complesso, sfaccettato, contraddittorio. La famosa maschera non è stata completamente deposta, lasciando aloni di incomprensione che difficilmente si potranno chiarire. L’ecletticità e l’ossessione per la purezza e per il mito della figura imperiale si sono diramate in molteplici campi, dalla letteratura alla drammaturgia passando per un vero e proprio culto del corpo e del sangue, che culminò nel suicidio.
Tra saggi e articoli si possono leggere svariate interpretazioni riguardanti il pensiero di Mishima, spesso esageratamente negative e faziose. Non era un libertario né un socialista, ma sicuramente non era nemmeno un fascista o un nazionalista nel senso comune del termine. La sua visione pseudo-politica (perché qui non si parla di politica, è un argomento lontano dall’autore) era fortemente trascendentale, oscillante tra classicismo e romanticismo, carica di ideali di purezza e di immagini limpide ed affascinanti. Come lui stesso dichiara nell’intervista di Furubayashi, l’imperatore “Non [è] un signore feudale in quanto figura gerarchica della storia, ma come simbolo della reagalità” e ancora “Quello che io intendo per sistema imperiale è qualcosa di molto diverso da quello che lei vede come un sistema monarchico assolutista utilizzato dalle forze politiche”. Ecco perchè mi sento di consigliare questo libricino, comprendente due interviste per poco più di 120 pagine; si entra in contatto diretto con l’autore, senza dover decifrare interpretazioni di critici che filtrano attraverso la propria ottica il personaggio di Mishima. Non sto dicendo che i testi critici sull’autore non siano validi, anzi alcuni sono decisamente interessanti, ma è utile ricercare delle fonti dirette per non mettersi in testa strane idee e non partire prevenuti.
“Le ultime parole di Mishima” è diviso in due parti. La prima intervista è di Furubayashi Takashi, critico di formazione marxista fortemente avverso agli ideali dell’autore ma irresistibilmente attratto dal suo stile straordinario, tanto da dichiarare “[…] penso che invece di contare quelli [libri di Yukio Mishima]che ho, sarebbe molto più veloce contare quelli che non ho. […] ho così tanti suoi libri della sua prima edizione, che un libraio mio conoscente mi dice sempre di volerli acquistare tutti per un milione di yen”. L’intervista è molto interessante e si snoda in diversi argomenti: letteratura, politica, dopoguerra giapponese, teatro, attualità, concezione dell’Assoluto, erotismo e altro ancora. Furubayashi non è un Fabio Fazio accondiscendente, ma incalza Mishima con una sincerità a tratti divertente, cercando di scavare a fondo e confrontandosi con l’autore senza farsi suggestionare, pur mantenendo il dovuto rispetto. Il confronto si mantiene su alti livelli, entrambi sono molto preparati su tutte le tematiche affrontate. Un punto di contatto tra i due si riscontra nel dramma “Giovani, rinascete!” interpretato da Furubayashi come un quadro della generazione post-bellica. In realtà Mishima lo scrisse come storia d’amore ambientata in un mondo precario, ma nonostante le divergenze entrambi si sentono legati alla rappresentazione di un momento storico che hanno attraversato assieme (sono coetanei). L’intervista è stata fatta pochi mesi prima della morte di Mishima; è incredibile la tranquillità d’animo con cui affronta l’ipotesi dell’intervistatore, secondo cui le manifestazioni militariste del Tatenokai possono essere strumentalizzate. Mishima risponde “[…]Stia a guardare quel che farò. [ride]”. È evidente la consapevolezza del gesto suicida, programmato e rispettato senza indugi.
La seconda intervista è di Kobayashi Hideo, eminente critico nazionalista. Le domande sono legate principalmente all’ambiente letterario e artistico, spesso è l’intervistatore a discorrere del più e del meno. Siamo nel 1956, anno in cui fu pubblicato “Il padiglione d’oro”, universalmente riconosciuto come il capolavoro di Mishima. Molto interessanti gli scambi di opinione sullo stile fortemente evocativo dell'autore, capace di rendere concrete e palpabili immagini di rara bellezza. Come già detto gli argomenti trattati sono limitati al campo letterario, ma si tratta comunque di un’intervista interessante in cui Kobayashi manifesta una forte attrazione per questo “diavolo pieno di talento”.
Se volete farvi un’idea sul Mishima uomo e il Mishima scrittore procuratevi questo libro, decisamente stimolante e curioso.