martedì 17 febbraio 2009

Agalloch - The Mantle

Agalloch - The Mantle
Black / Folk / Dark Ambient
(2002)



Secondo full-lenght di questa band straordinaria, mai banale, mai scontata, sempre fresca ascolto dopo ascolto. La particolarità di questo album sta nell'evocare immagini e sensazioni nebbiose e decadenti, grazie ad uno stupendo song-writing e testi decisamente poetici. "A celebration for the death of man..." apre le danze, una strumentale di pochi minuti sorretta da un giro di chitarra acustica semplice ma molto efficace, giro che verrà ripreso in altri pezzi dell'album e che ne è in qualche modo la colonna vertebrale. "In the shadow of our pale companion" è un classico della band, della durata di quasi un quarto d'ora, incalzante, in crescendo, sostenuto da arpeggi onirici e da un'elettrica atmosferica e malinconica, Haughm alterna il cantato pulito al suo caratteristico screaming "soffuso", quasi delicato. "Odal" è una strumentale stupenda, ogni nota trasuda emozioni che raggiungono l'apice nel finale, quando subentra il pianoforte. Segue "I am the wooden doors", introdotta da un ritmo più veloce e serrato, è forse il pezzo più "tirato" dell'album, il più blackeggiante, "The Lodge" è un'altra stupenda strumentale, in cui ricorre neanche troppo vagamente il giro di acustica del primo pezzo, anche se leggermente differente. Quando finirete di ascoltare questo album il suddetto giro vi resterà in testa da subito, ne incarna l'essenza. "You were but a ghost in my arms" è un altro classico, un capolavoro, giri di chitarra da brividi, arpeggi fantastici e cantato ultra evocativo, ogni volta che la ascolto mi immagino montagne innevate immerse nella nebbia, la tranquillità cristallina della natura invernale, il suo grigiore, la sua maestosità. La settima traccia, "The Hawthrone Passage", è l'ultima strumentale, di ben 11 minuti, il sottotitolo dice "song for a grey city" ed è inutile stia qui a descrivervi quanto la musica calzi alla perfezione. Se c'è un gruppo in grado di non annoiare mai con pezzi strumentali (nell'ambiente "metal" -etichetta da prendere con le pinze-) questi sono gli Agalloch, che possono permettersi di inserirne 4 in un album di 9 tracce riuscendo a non stancare minimamente l'ascoltatore. "...And the great cold death of the earth" è la canzone che mi fece innamorare di questo gruppo, qualche anno fa; il giro-cardine è ripreso ed è costante nei suoi 7 minuti di durata, una delle loro song migliori di sempre, malinconica e desolata. Chiude l'album "The desolation song", pezzo acustico da brividi, acustica e contrabbasso creano un intreccio perfetto, Haughm sussurra un testo tristissimo, l'assolo di mandolino è azzecatissimo. Sembra quasi (dico quasi) una base folk tipica delle zone balcaniche. Capolavoro, il voto è oggettivo, personalmente ogni loro produzione è da 10.
"Lost in the desolation of love, the passions we reap and sow, lost in the desolation of life, this path that we walk..."

VOTO: 8

Tracklist:
1. A Celebration For The Death Of Man...
2. In The Shadow Of Our Pale Companion
3. Odal
4. I Am The Wooden Doors
5. The Lodge
6. You Were But A Ghost In My Arms
7. The Hawthorne Passage
8. ...And The Great Cold Death Of The Earth
9. A Desolation Song

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