lunedì 16 agosto 2010

Cella 211

Cella 211
Drammatico
(2010)



Juan, un secondino appena assunto, si ritrova nel bel mezzo di una rivolta. Tramortito, viene lasciato in una cella, la 211; quando si rende conto di quello che sta accadendo fa in tempo a sbarazzarsi di portafoglio, stringhe e cintura fingendo di essere un nuovo carcerato. Viene messo alla prova dai nuovi compagni, guidati dal leader indiscusso Malamadre (Luis Tosar). Grazie ai nervi saldi ed una buona faccia tosta riesce subito ad accattivarsi la fiducia del capo branco. Juan si districa in un costante doppiogiochismo assecondando da una parte i carcerati, dall’atra i suoi superiori. Si offre un negoziato alle autorità: in cambio di migliori condizioni nelle carceri verranno liberati gli ostaggi, tre terroristi dell’ETA, di notevole utilità politica. La situazione si complica quando i telegiornali diffondono la notizia della rivolta e di un poliziotto morto durante gli scontri. Attorno al carcere si accalcano i parenti che vogliono essere messi al corrente della condizione dei propri famigliari. Per disperdere la folla i poliziotti fanno uso sfrenato del manganello, fino a colpire a morte la moglie (gravida) di Juan. Da questo momento la vita di Juan verrà stravolta.
Siamo di fronte ad una pellicola interessante e con contenuti attualissimi; purtroppo il bersaglio viene colpito solo di striscio. A lasciare l’amaro in bocca sono in primis alcuni snodi principali della trama, poco sensati e decisamente forzati. Quando Juan si mette in contatto con i suoi superiori per trattare, fingendosi un prigioniero, sono utilizzati toni decisamente troppo confidenziali, è evidente che si conoscono tra loro. Ma gli altri prigionieri pare non si accorgano di nulla. Mah. Inoltre la morte della moglie di Juan è troppo inverosimile, guarda caso lei ha la sensazione che a suo marito sia successo qualcosa, si dirige al carcere e viene colpita a morte dal poliziotto più odiato della galera. Tutto è filmato da meno di un metro di distanza senza che la telecamera sia distrutta o sequestrata, perché ovviamente il video verrà fatto vedere a Juan. Siamo di fronte ad un controsenso evidente: un poliziotto che dà fuori di matto senza il minimo motivo, giusto per diventare un infame agli occhi dello spettatore, ma che non fa niente se viene ripreso in pieno volto. Un doppio espediente (morte della moglie + video incriminato) elaborato malissimo. Come se fosse difficile rendere bastardo un poliziotto. Si tratta di un punto focale che viene trattato in maniera troppo sbrigativa e illogica. Altra pecca è la caratterizzazione dei personaggi principali: Juan appare decisamente freddo, distaccato, monocorde, mentre Malamadre pur personificando molto bene il carcerato spaccone ed ignorante in diversi passaggi sembra goffo, impacciato. Tutto scorre abbastanza velocemente, ai momenti diplomatici si alternano quelli d’azione, vengono a galla lentamente inimicizie interne sia tra i prigionieri che tra i superiori. Ogni cosa è il riflesso di un problema più ampio e complesso, quello della situazione nelle carceri e del rapporto con le istituzioni. Affiora nel finale una riflessione sulla natura umana e di quanto un uomo sia capace di mutare a seconda della situazione in cui si trova.
Una buona occasione mancata, c’è un argomento di fondo e viene veicolato, ma è veicolato troppo caoticamente e grossolanamente. Un argomento molto serio che andrebbe trattato più spesso, considerando soprattutto quella che è la distorta opinione comune riguardo le carceri, in una società sempre più amica di sbarre, muri e manganelli.

“Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va…”


VOTO: 7-

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