martedì 24 agosto 2010

Romanzo Popolare

Romanzo Popolare
Commedia all'italiana
(1974)



Forse la più bella commedia italiana degli anni ’70. Forse la più grande commedia italiana di sempre. Ancora una volta Monicelli realizza un film stupendo, complice il grande cast che vede i due giovani Michele Placido e Ornella Muti affiancati dall’inarrivabile Tognazzi. La Milano popolare degli anni ’70, la fabbrica, la lotta politica. Tognazzi è Giulio, operaio sindacalista carismatico caratterizzato da una parlantina fluida che mischia politichese e milanese. Si innamora di Vincenzina (Ornella Muti), meridionale e appena maggiorenne, e si sposano. Placido è Giovanni Pizzullo, un meridionale trasferitosi a Milano per lavorare come poliziotto; alla sua prima esperienza durante una manifestazione operaia (dove Giulio gestisce il servizio d’ordine) viene colpito in pieno cranio da un oggetto di ferro lanciato dai manifestanti. Individua il colpevole, Salvatore, amico e vicino di casa di Giulio, e decide di andarlo a prendere a casa. Salvatore verrà difeso da Giulio che sfoggia un monologo da pelle d’oca e bastona il povero poliziotto (“Vuoi fare l’eroe in divisa? Vogliamo diventare il milite ignoto? E allora ti cucchi il manufatto come incidente sul lavoro!”). In seguito Salvatore si riappacificherà con Giovanni e lo inviterà alle serate tra amici a casa di Giulio. Qui Giovanni conoscerà Vincenzina e se ne innamorerà. Entrambi giovani, entrambi meridionali; scatta qualcosa e Giulio lo scoprirà lentamente, durante una sorta di interrogatorio in crescendo che lo porterà ad una (grottesca) esasperazione. È una storia d’amori traditi sullo sfondo di una Milano grigia e brumosa; le giornate di lavoro in fabbrica, le domeniche allo stadio a tifare Milan, le serate con gli amici. La Milano popolare, quella bassa ma genuina, vitale, schiacciata da una quotidianità insoddisfacente e deludente ma dalla quale si cerca sempre di uscirne, in un modo o nell’altro. Non è una commedia spensierata, Monicelli infonde il suo solito tocco malinconico che pervade ogni cosa, si insinua poco alla volta e resta lì fino alla fine. Il finale è potenzialmente felice ma allo stesso tempo nostalgico, le cose sarebbero potute andare meglio. Sempre in linea con le illusioni politiche (e non) degli anni ’70, utopici desideri flebili ed evanescenti. Ultima ma non meno importante la colonna sonora, il motivo principale e costantemente ricorrente è stato scritto apposta per il film da Enzo Jannacci: “Vincenzina e la fabbrica”. Toccante, triste, disillusa. Come ogni romanzo popolare.

“Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina vuol bene alla fabbrica,
e non sa che la vita giù in fabbrica
non c'è,
se c'è com'è ?”


VOTO: 8,5

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