martedì 10 agosto 2010

Shogun Assassin

Shogun Assassin
Jidaigeki / Exploitation
(1980)



Film culto che ormai compie i suoi 30 anni, Shogun Assassin è un perenne punto di riferimento del cinema estremo orientale. Alla regia un americano, Robert Houston, nome praticamente sconosciuto se non per il suo ruolo di Bobby in “Le colline hanno gli occhi” di Craven. Il film è tratto dal manga “Lone Wolf and Cub”, pubblicato nel 1970, fumetto giapponese che tra il ’72 e il ‘74 ispirerà ben sei film di arti marziali. Il protagonista è sempre Tomisaburo Wakayama, celebre attore giapponese che vanta una filmografia sterminata e che sarà protagonista anche in Shogun Assassin.
La storia è quella di Ogami Ittō, il più grande e temuto samurai del regno, e del suo figlioletto. Siamo nel Giappone del XVII secolo; Ogami, boia personale dello Shogun, cade in disgrazia a causa di un complotto ordito nei suoi confronti. Sua moglie viene assassinata e si trova costretto a fuggire con suo figlio Diagoro, di soli tre anni. Lo svolgersi della trama si concentra fondamentalmente sugli scontri all’arma bianca che caratterizzano l’intera pellicola. Ad un'atmosfera solenne si va ad aggiungere il voluto eccesso, che sfocia nel goliardico e che stride con il clima vendicativo e serioso. Shogun Assassin è un “jidaigeki”, sottogenere storico ambientato in una specifica epoca giapponese, contaminato dall’onnipresente componente splatter / d’explotation. I combattimenti sono estremamente fantasiosi e violenti, i nemici vengono decapitati, smembrati, sgozzati e via dicendo, sempre con uno stile rapido e armonioso. Il nostro eroe Ogami combatte in piccole stanze, nei boschi, nel deserto, nell’acqua, para e colpisce, impala, trafigge i nemici lanciando la spada. Non c’è un momento di tregua, è uno scontro continuo molto coinvolgente, la spada di Ogami è sempre pronta alla difesa o all’attacco. Una spada liquida, per citare l’omonimo pezzo (e album) del rapper GZA. Un buon uso dei colori, che prendono il sopravvento soprattutto nel combattimento finale, e delle inquadrature contribuisce a creare quel senso di vedo-non vedo che pervade tutta la pellicola, creando un’atmosfera surreale e a tratti angosciante. Ad incorniciare il tutto un’interessante colonna sonora completamente elettronica, tesa e quasi morbosa.

VOTO: 7,5

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