domenica 8 agosto 2010

Martyrs

Martyrs
Horror
(2008)



Grazie Francia per aver risollevato le sorti del cinema horror, negli ultimi anni decisamente moribondo e riciclato a più non posso. Da una parte horror-panettoni con gnocche di turno sventrate digitalmente, torrenti di emoglobina (e di silicone) computerizzati, dall’altra dei discreti tentativi privi di mordente. È con l’uscita di “Hostel” (2005) che si nota un rinnovato interesse verso quel tipo di exploitation fortemente cruda e praticamente fine a se stessa. “Torture porn”. La trama in sostanza è la solita: un gruppo di malcapitati finisce nelle mani di feroci e sadici aguzzini che torturano a morte i protagonisti, l’intero film si concentra sui momenti di violenza mettendone in luce la particolare efferatezza. “Frontiers”, film francese del 2007, rilancia gli stessi contenuti, leggermente rafforzati da una (abbastanza superficiale) condanna della xenofobia. Giovani scannati, appesi per dei ganci come maiali, sgozzati e via dicendo. Sempre dello stesso anno, e sempre francese, è il bellissimo e splatterissimo “À l'intérieur”, dove le tematiche sociali sono trattate decisamente meglio e con più gusto. Martyrs uscirà l’anno successivo, nel 2008. Solite critiche, solita censura, ma alla fine riuscirà ad essere proiettato nelle sale e a limitare i divieti.
Si tratta di un film molto ben congegnato che riesce a riunire una serie di elementi fortemente incisivi: deliri psicopatici e visionari, torture, autolesionismo, lucido e metodico sadismo, senso di impotenza che viene trasmesso anche allo spettatore, ultraviolenza. Dividerei il film in tre parti.

1. La prima parte, abbastanza breve (10/15 minuti), ci presenta le due protagoniste. Una bambina seviziata, Lucie, che riesce a fuggire dai torturatori, per poi finire in un orfanotrofio, dove conosce l’amica Anna. Lucie è tormentata, non riesce a spiegare cosa le sia successo né a denunciare chi siano i colpevoli. È assalita continuamente da incubi e da visioni malsane.

2. 15 anni dopo. Una villa fuori città. Una tranquilla domenica in famiglia, si discute durante la colazione. Din don, va il padre ad aprire. Viene accolto da una fucilata in pieno ventre, una ragazza con una doppietta più grande di lei gli da il buongiorno. Tutta vestita di nero, minuta, la testa coperta, pare cappuccetto rosso (nero). Entra in casa e tira una fucilata anche alla madre. Poi è il turno del figlio, appena diciottenne, e della figlia, una ragazzina. Una famiglia massacrata a colpi di doppietta. Corpi tormentati dalle fucilate, sangue ovunque sulle pareti bianche. L’agente Stansfield che va a trovare la famiglia di Mathilda. La scena ha lo stesso sapore crudo. Lucie ha ritrovato i suoi aguzzini e si è fatta giustizia. Almeno così dice lei. Anna la raggiunge e cerca di sistemare il carnaio che ha scatenato l’amica. Ma Lucie non è libera dai suoi incubi, Anna sembra non credere che tra quella famiglia ci fossero le stesse persone che avevano relegato l’amica in uno scantinato per chissà quanto tempo. E Lucie non riesce più a sopportare i suoi fantasmi, si squarcia prima i polsi, poi la gola.

3. Anna è da sola in questa villa. Scopre uno strano scantinato. Lucie aveva ragione. Trova una ragazza legata ad una sedia, incatenata. Nuda, scheletrica, martoriata. Si dimena, ha il volto coperto da una maschera di ferro, Anna la libera e le toglie la maschera (inchiodata nel cranio). Ma è aggressiva, si agita, colpisce Anna e mentre sono avvinghiate un colpo nel cranio stende la poveretta. Un gruppo di uomini armati fa irruzione nella villa. E porta Anna nello scantinato, dove inizia il suo supplizio.

Quello che si scopre nell’ultima mezz’ora non lo svelo al lettore, ho forse già detto anche troppo. Non è niente di trascendentale ma si tratta comunque di una soluzione molto ben costruita, capace di trasmettere un profondo senso di impotenza anche allo spettatore, in un susseguirsi di torture che culminano nell’apoteosi finale.
La forza di questo film è riuscire ad unire diverse componenti: una prettamente orrorifica, legata agli spettri ed alle sofferenze soprattutto autolesioniste di Lucie, un’altra quasi da thriller, che dal momento in cui Anna diviene la vittima assume toni cospirativi, si ha a che fare con una specie di loggia massonica che opera indisturbata. Le scene di violenza sono realizzate caparbiamente, trasmettono una forte angoscia, le tinte prima più cupe e poi più asettiche contribuiscono ad accrescere la tensione ed il senso di malessere. Ad incorniciare tutto un’ottima colonna sonora che offre all’intera pellicola un retrogusto agrodolce. Sadismo clinico, razionale, lucido. Il peggiore.
“Saprebbe immaginare cosa c’è dopo la morte?”

VOTO: 8,5

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